Kiehl's, sustainable beauty

I'm sorry for the readers who don't know any Italian, but this article is so interesting that I have to post it!
It is about sustainability related to beauty, and how little we can trust "natural" brands.

Also I really love Kiehl's skincare and I think we should give more credit to serious brands like this, rather then drugstore names that fill our creams with orrible ingredients pretending to be eco-friendly!

Iniziative lodevoli. Se le giornate celebrative sono importanti, ancor di più è protrarre gli impegni presi nel tempo. Per questo dopo aver festeggiato insieme a Kiehl’s la Giornata della Terra, abbiamo deciso di approfondire l’impegno nella sostenibilità dell’industria cosmetica (e non solo) con Tensie Whelan, presidente di Rainforest Alliance. L’organizzazione internazionale no-profit ha beneficiato dei fondi raccolti con la limited edition di Açaí Damage-Protecting Toning Mist di Kiehl’s. A base di açaí, una bacca antiossidante coltivata biologicamente al 100% in Amazzonia (certificata Ecocert), il progetto è stato sostenuto da testimonial (che si sono prestati gratuitamente) tra cui l’attrice Julianne Moore, l’artista Jeff Koons e Pharrell Williams (musicista sempre più impegnato nella moda con l’azienda tessile eco-sostenibile Bionic Yarn e la collezione di capi green per Moncler) che hanno disegnato diverse eco-etichette. L’iniziativa ha avuto successo, ma ora cosa succede? Tensie Whelan è una signora cordiale che crede che con piccoli gesti quotidiani e consapevolezza sia possibile migliorare il mondo.

A cosa destinerete questi fondi raccolti?
I 200mila dollari messi a disposizione da Kiehl’s andranno a sostegno dei nostri programmi di forestazione, di istruzione sulle tecniche agricole e pratiche di turismo sostenibile in varie parti del mondo.

Quanto è importante l’educazione e quali sono i segni visibili del vostro lavoro?
Una delle cose che stiamo cercando di fare è aiutare le comunità nelle foreste pluviali a continuare a vivere in quelle aree, a pensare che i loro figli possano rimanere lì e allo stesso tempo a proteggere queste zone.

Si parla molto di cosmetica bio, ma non si rischia di ridurre la terra dedicata alla produzione di cibo per coltivare fiori e piante per le creme?
Il nostro impegno è assicurare il massimo controllo e vigilare affinché non prolifichino le coltivazioni agricole selvagge. Comunque molti fiori nascono nel sottobosco o sono selvatici, quindi nessun danno.

Voi però non potete essere ovunque: in generale il problema può esserci?
Sì, gli oli essenziali ricavati da piantagioni in aree sensibili o non coltivate secondo le regole (che coinvolgono anche il lavoro per le comunità locali) possano avere impatto negativo sull’ambiente.

Ma business e salvaguardia del pianeta possono andare d’accordo?
Il business è business, ma sempre più c’è consapevolezza che per fare soldi a lungo termine ci si debba anche prendere cura delle comunità e dell’ambiente. Bisogna coltivare materie sostenibili e rendere i consumatori più responsabili. Se si vogliono prodotti a basso prezzo e fuori dalle regole è chiaro che i produttori continueranno a metterli sul mercato.

Quindi la responsabilità sociale coinvolge anche l’acquisto di un cosmetico?
Dobbiamo farci domande sulla provenienza di un prodotto e sul suo impatto. Se acquisti qualcosa che ha un prezzo troppo basso per essere vero, probabilmente non è vero. Quando ero più giovane le rose negli Stati Uniti costavano dieci dollari l’una. Ora bastano 10 centesimi, grazie alla chimica, alle overdose di acqua e condizioni di lavoro terribili.

Per questo i prodotti organic sono un lusso e costano di più?
La Rainforest Alliance certifica prodotti che hanno un prezzo medio. Ogni consumatore dovrebbe avere accesso a una spesa sostenibile. Il mondo della finanza chiede crescita e molte aziende dicono che se potessero vendere al costo reale si riuscirebbe a ridurre i numeri. Da consumatore forse è meglio acquistare un paio di jeans a 100 dollari, ma realizzato in modo poco inquinante, invece che 4 paia da 25. È una questione di valori. Abbiamo bisogno di meno a una qualità più alta.

Pensa che arriveremo ad avere una green economy?
Negli ultimi due anni siamo stati preoccupati di non poterci prendere questo impegno, ma ora i giovani capi di azienda mostrano sempre più quest’attitudine, hanno una nuova sensibilità che si estende anche alle persone che lavorano con loro. Le società che, specialmente nella crisi, si sono poste il problema sono quelle che stanno facendo la differenza.

Però c’è anche molto green washing, il marketing psuedo-eco?
Certo che sì, per questo manteniamo un controllo stretto.

Ma come si fa a sapere la provenienza di tutto?
(Sospiro) Non è impossibile e certamente diventerà una richiesta imprescindibile da parte dei consumatori più intelligenti. A partire dall’industria alimentare perché l’attenzione sul cibo è elevatissima. Ma anche le altre produzioni dovranno auto-certificarsi. Nella cosmetica si sta iniziando. Alcune informazioni utili possono essere fornite da Organic Monitor.
In alcuni paesi questa sensibilità è molto diffusa, in altri decisamente meno… In Europa lavoriamo con moltissime aziende. Certamente il paese più attento è la Gran Bretagna seguita da Germania, Olanda, Scandinavia e Francia. Spagna e Italia sono ancora un po’ indietro.

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